SIGIERI DI BRABANTE.

Secondo la tradizione fu uno dei più accaniti sostenitori della tendenza più radicale dei maestri delle arti, che accettavano completamente le dottrine aristoteliche-averroistiche. La sua posizione ha suscitato e continua a suscitare polemiche i cui riflessi pesano anche sulle ricerche intorno alla filosofia di Dante. Non è infatti facile distinguere nell'ampia trama dei suoi commenti aristotelici, ciò che è semplicemente riferimento ad esegesi di dottrine altrui e ciò che è accettazione di tesi averroistiche con pesanti conseguenze teologiche. Contestata è anche la paternità di alcune opere che trasformerebbero il quadro tradizionale del suo pensiero. Se si considerano le opere indiscutibilmente autentiche, è indubbio che S. sostenne tesi contrarie alla rivelazione biblico-evangelica. Egli è disposto a riconoscere la superiorità della fede, nell'ambito della religione, ma altrettanto deciso a interpretare i testi dei filosofi con metodi rigorosamente razionali. Avanzava una rivendicazione difficilmente conciliabile con la tradizionale supremazia della scientia de divinis, eversiva per una cultura filosofica che, solo da pochi decenni, aveva cominciato a svincolarsi da una concezione del mondo teologale e riduttiva di tutto il sapere all'interpretazione della "sacra pagina". Riconoscere, come Sigeri fa chiaramente, che le dimostrazioni razionali possono pervenire a conclusioni opposte a quelle affermate nei testi sacri, significava negare quell'accordo tra fede e ragione, e implicava una netta distinzione tra l'ambito della ricerca naturale e filosofica, concluso entro un ordine necessario e logico, e il piano della rivelazione e della grazia, affidato soltanto all'illuminazione della fede. La propensione di S. per le interpretazioni averroistiche di Aristotele è confermata dalla dottrina dell'intelletto, presente nei testi De Intellectu e Liber de felicitate: il maestro brabantino identificò l'Intelletto agente con Dio e pose l'unica felicità possibile per l'uomo nell'eterna unione con tale Intelletto. Inoltre, egli riconosce non solo l'unicità dell'Intelletto agente, ma anche di quello materiale. Fedele a queste concezioni, appellandosi alle parole di Aristotele e alle esposizioni di Averroè, negò che Dio, causa finale dell'universo, ne fosse anche la causa efficiente; sostenne l'eternità del mondo e di tutti i generi e le specie di cose naturali, ammettendo anche una sorta di determinismo astrale che riconduceva tutti i fatti e gli eventi del mondo sublunare ai moti dei cieli e agli influssi degli astri, la cui ripetizione ha prodotto, produce e produrrà eventi sempre identici. Nel Pd ( X , 136) è posto tra gli spiriti sapienti, è citato nelle parole di Tommaso d'Aquino: "Questi a me ritorna il tuo riguardo/ è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri/ gravi a morir li parve venir tardo:/ essa è la luce etterna di Sigieri/ che, leggendo nel Vico de li Strami/ silogizzò invidiosi veri." Sembra che Dante consideri S. come un problema storico e dottrinale di grande importanza. Secondo diversi studiosi nei testi danteschi si possono trovare tipiche dottrine sigeriane; molti sostengono che i versi del Pd intendessero rialzare la

memoria di Sigieri (escludono qualsiasi condanna di eresia da parte di D.), altri che è

 

 

 

 

 

un omaggio da limitarsi a Tommaso. L'averroismo di S. è considerato non come una dottrina rivolta esplicitamente contro la fede o, una rottura volontaria e meditata con la tradizione teologica, ma come rivendicazione del "commento al filosofo", libero da ogni ingerenza teologale e nella pura e semplice constatazione di una divergenza tra ragione e fede in alcuni problemi filosofici fondamentali. Dunque la simbologia di S. è del tutto coerente con la costante preoccupazione dantesca di riconoscere l'autonomia dell'ordine mondano, sia pure entro la perfezione dell'ordine sovrannaturale; perciò, agli occhi di Dante, Sigieri ha pieno diritto di trovarsi nella schiera dei sapienti cristiani.