Averroé
Filosofia, teologia e fede
Nato a Cordova nel 1126, studiò diritto e medicina, e in seguito, matematica, astronomia e filosofia. Ma è per questultima disciplina che Averroè è particolarmente importante: egli infatti è uno dei maggiori commentatori del testo aristotelico, che una lunga tradizione araba gli aveva tramandato; anche Dante lo ricorda, appunto, per il suo "Grande Commento" (Inferno, IV,144).
Il suo massimo impegno, nel corso della sua vita, fu volto a trovare una conciliazione tra teologia e filosofia, cosa che avrà per lui conseguenze tragiche, quali la condanna e lesilio. Tale conciliazione si esemplificò in una netta distinzione tra le sfere delle due discipline. Non tutte le menti sono però in grado di cogliere questa distinzione, e per questo si generano le cattive interpretazioni.
Se, infatti, per gli uomini di acutezza morale la rivelazione coincide, in sostanza, con la verità filosofica, e costoro esigono discorsi rigorosi, in quanto scelgono di accedere alla verità solo attraverso la scienza (sono i cosiddetti "uomini di dimostrazione"), per gli uomini di livello medio, gli uomini "dialettici", bastano discorsi con argomentazioni banali, e per quelli di "esortazione" sono sufficienti addirittura semplici discorsi retorici atti a governare i loro istinti e sentimenti.
A questa tripartizione degli intelletti corrisponde una tripartizione della società, in relazione ai diversi ambiti disciplinari: se al popolo ( gli uomini di esortazione ) è negato l accesso alla filosofia, e dovranno accontentarsi della semplice fede, ai teologi ( gli uomini dialettici ) è affidato uno studio dialettico e verosimile del Corano; gli uomini di dimostrazione, i filosofi, invece, possiedono lo studio scientifico e la logica, e attraverso questi strumenti giungono alla verità.
Lanima
Allinterno dellanima Averroé riconosce un intelletto attivo, comune, immortale e divino (che cioé viene da Dio e a Lui ritorna), e un intelletto passivo, individuale e mortale. (1)
Tuttavia è certo che la dottrina averroistica dellintelletto è sottomessa alla rivelazione coranica: se infatti Averroé "conclude per necessità che lintelletto è uno, accetta fermamente per fede che gli intelletti sono tanti quanti sono gli uomini". Questa posizione viene chiamata "dottrina della doppia verità".
Il reale
Per quanto riguarda la struttura e i processi che regolano la realtà, Averroè riprende quasi esattamente i principi aristotelici, per quanto riguarda per esempio le quattro cause e i concetti di potenza e atto. Egli riconosce, però, lesistenza di "cause prime", "Atti primi", mossi a loro
volta da Dio, motore immobile, che determinano lavvio di tutti i processi. Tali Atti primi sono gli astri; se essi sono eterni ed immutabili, anche ciò che muovono deve esserlo: da questo nasce la considerazione che il mondo è eterno, considerazione che andava contro la teoria creazionistica del Corano, e che dunque concorse alla condanna di Averroè.
LA DIFFUSIONE DELLARISTOTELISMO IN EUROPA ATTRAVERSO LINTERPRETAZIONE DI AVERROE
Le opere aristoteliche si diffusero nellEuropa Cristiana seguendo due itinerari:
- dalla Spagna attraverso i Pirenei; da quella che era stata una delle regioni più raffinate nel campo della cultura, la Spagna Omaiade, arrivarono i testi aristotelici tradotti in arabo;
- dalla Sicilia, alla Toscana e allEmilia; in questo caso la fonte è la corte di Federico II°, punto dincontro delle culture greca, latina, araba e volgare.
In entrambi i casi lEuropa potè leggere Aristotele attraverso linterpretazione araba, in particolare quella di Averroè. Era dunque necessario purgare i testi aristotelici da tutte le sovrapposizioni arabe. Di questo era convinto per esempio Guglielmo di Moerbecke, il quale tradusse per Tommaso dAquino il Corpus Aristotelicum e anche commenti greci di Aristotele, tra i quali quello di Alessandro di Afrodisia.
Alla diffusione della filosofia averroista in Europa contribuì in maniera determinante la scuola filosofica domenicana. Il primo grande esponente di essa fu Alberto Magno, maestro di Tommaso dAquino. Egli insegnò alla facoltà di teologia dellUniversità di Parigi, ricevendo una delle due cattedre domenicane ( quella riservata agli stranieri ).
Alberto fondò poi a Colonia uno Studio Generale dell Ordine, primo nucleo di quella che sarebbe stata lUniversità di Colonia.
Egli era assolutamente convinto dell importanza della filosofia greco-araba e della necessità di introdurla nell Europa Cristiana, e per questo subì spesso gli attacchi dei teologi tradizionali.
Durante il commento alle opere aristoteliche, oltre a farne la parafrasi, egli aggiunge la sua interpretazione, le sue tesi, e talvolta integra delle parti che, a suo avviso, mancavano di qualcosa.
Come Averroè nel mondo arabo, anche Alberto nel mondo cristiano cercò di delimitare la sfera della filosofia da quella della teologia: se alla verità filosofica si può arrivare tramite la ragione, la Verità Rivelata non è dimostrabile, ma creduta per fede, e la ragione umana non possiede i mezzi né per poterla dimostrare, né per poterla confutare. Daltronde tra verità rivelata e filosofica non ci può essere contraddizione, poichè sia la Rivelazione che la ragione umana provengono da Dio.
Per quanto riguarda il suo commento, talvolta, come nel rapporto tra potenza e atto, Alberto risente dellinfluenza neoplatonica. Egli sostiene, infatti, che potenza non significa privazione, e che invece nellente in potenza esiste una INCHOATIO FORMAE, cioè una tensione, una predisposizione al raggiungimento della forma. Lelemento platonico è lidea di forma concepita
in questo modo, cioè, proprio come lidea platonica, immutata nel corso delle generazioni.
In questa ottica è vista anche la dottrina dellanima e dellintelletto ( cioè secondo il concetto di inchoatio formae ): la materia ha già in sé la vita vegetale, e questa quella sensitiva; allo stesso modo nellanima sensitiva sta già quella razionale.
Alberto Magno e Tommaso dAquino
Alberto, come poi Tommaso, polemizzarono contro Averroè scrivendo un "DE UNITATE INTELLECTUS". Entrambi rivendicavano lunità dellintelletto, che, a loro avviso, Averroè aveva diviso.
Presto le tesi di Alberto vennero superate da quelle del suo discepolo, Tommaso.
Questo avvenne per un preciso fatto storico.
Nel 1270, il vescovo di Parigi Etienne Tempier, condannò 15 tesi di chiara ispirazione averroista elaborate in Europa. Tra queste vi erano:
- il mondo è eterno;
- lanima non è immortale;
- homo non intellegit.
Questa è solo la prima di una serie di condanne: nel 1277 il papa Giovanni XXI promulga un solenne ammonimento, ai maestri parigini delle arti, che non insegnino tesi averroiste. Nel marzo dello stesso anno, il vescovo Tempier condanna 219 proposizioni, con "lespresso divieto di sostenerle anche soltanto quali dottrine vere dal punto di vista della ragione, ma false dal punto di vista della fede".
Tra queste 219 tesi non vi sono solo tesi averroiste, ma anche quelle di autori come Tommaso dAquino, Boezio di Dacia e Sigieri di Brabante, Andrea Cappellano.
Queste condanne, appoggiate dai francescani e in particolare da Bonaventura da Bagnoregio, provocarono una dura lotta allinterno dellOrdine Domenicano e tra domenicani e francescani. La lotta fu conclusa dal capitolo generale domenicano (1286), che riconobbe come ufficiali, e impose, le dottrine di Tommaso dAquino.
MONOPSICHISMO
Il monopsichismo è una dottrina che afferma lesistenza di unanima del mondo unica che si esplica nelle diverse anime. I monopsichisti sono seguaci di Averroè.
HOMO NON INTELLEGIT
Questa proposizione, che letteralmente significa "luomo non ragiona", è una delle proposizioni condannate dalla Chiesa come averroiste.
Averroè infatti sostiene che non è luomo a ragionare, ma qualcosa che cè in lui, cioè lintelletto, che alla morte dellindividuo torna da dove era venuto (Dio): è quindi un ente collettivo.
Secondo Tommaso dAquino, luomo non ha accesso diretto agli intelligibili, e li conosce solo attraverso un processo di astrazione.
Egli pensa che ciascun oggetto percepibile con i sensi imprima nel sensorio corrispondente delle "species" immateriali: è lintelletto attivo che trae da tali "species" ciò che in esse vi è di universale e intelligibile; lintelletto passivo rappresenta, infine, in ogni anima razionale, la capacità di ricevere le "species" e di farle proprie.
Dante si discosta dalla teoria averroista, nonostante egli utilizzi la parola "intelligere"; infatti egli ritiene che la conoscenza abbia sempre origine dai sensi e che le forme siano unite con la materia. Queste forme passano attraverso i nostri sensi con il pensiero. Ci sono sensibili propri (udito, vista,...) e sensibili comuni (movimento, percepito da più sensi).
Dante pensa, inoltre, che luomo abbia una facoltà, che lui chiama cogitativa o estimativa, che gli permette di mettere a confronto le varie informazioni provenienti dai sensi. Oltre ai sensi esterni esistono anche quelli interni, tra i quali la fantasia o immaginazione, e ciò viene richiamato dai testi di Averroè.
La percezione sensibile viene vagliata dalla facoltà estimativa ed elaborata da quella immaginativa. Dante dice che ci deve essere un intervento dellintelletto potenziale ovvero possibile e che ci potrebbe essere qualche facoltà separata dellanima: questa secondo gli averroisti è appunto lintelletto possibile, soggetto della conoscenza dellamore. Per questa affermazione gli averroisti vengono condannati.
(1) NOTA:
E necessario precisare che, per quanto riguarda lintelletto passivo, la dottrina non è a noi chiara, in quanto si và a mischiare con quella degli averroisti latini, che sostennero che anche lintelletto passivo non è individuale.
Antonio Soggia IV C
A.S. 1999/2000