IL DOPOGUERRA E LA RICOSTRUZIONE

CAPITOLO SESTO

IL NUOVO QUADRO INTERNAZIONALE

Nel 1947 la produzione industriale americana che alla vigilia del conflitto era inferiore di quasi ¼ di quell’europea (eccetto l’Unione Sovietica), la superava di oltre la meta e il valore commerciale delle esportazioni degli Stati Uniti risultava moltiplicato di cinque volte rispetto al 1938. Al contrario le nazioni europee, anche se in diversa misura, avevano subito gravi danni in campo bellico, economico e dei trasporti. Quasi tutti i paesi europei, chi più chi meno, dovettero far ricorso agli aiuti e prestiti del governo americano in questo modo agli Stati Uniti si offrì alla possibilità di riunificare il mercato mondiale. Il Fondo Monetario Internazionale istituito nel 1944 alla conferenza di Bretton Woods rappresentò un importante strumento per la politica economica americana: sancì da un lato la supremazia del dollaro (abbinato a loro) dall’altro il risanamento delle bilance dei pagamenti.

Decisiva fu la decisione di Washington di agire, anche se a tappe graduali, verso la liberalizzazione del mercato internazionale.

Per la necessità che l’Europa aveva di importare cospicue risorse dall’estero gli Stati Uniti accrebbero le loro esportazioni (grazie ad una clausola che associava l’erogazione dei prestiti all’acquisto dei prodotti finiti presso le industrie americane). Nel 1948 la produzione reddito della maggior parte dei paesi Europei si avvicinavano e a volte superavano i livelli d’anteguerra.

Senza il sostegno degli Stati Uniti ci sarebbe stato un rallentamento della crescita e una caduta dell’attività economica.

Soprattutto in quei paesi Occidentali governati dalla sinistra fu attuata una politica rivolta al raggiungimento della massima occupazione, all espansione del settore pubblico e all’istituzione di nuove garanzie sociali.

In Francia e in Inghilterra si avviò la nazionalizzazione di alcuni settori industriali. In Inghilterra dove si portavano dietro dei problemi che risalivano al periodo prima della guerra (la perdita progressiva di efficienza di alcuni distretti industriali, la scarsità di materie prime e la carenza di manodopera specializzata in settori chiave per lo sviluppo) si presto maggiore attenzione ai rapporti complementari richiamati dalla teoria Keynesiana fra misure monetarie e misure fiscali. I Laburisti saliti al potere nel 1945 affrontarono il problema del riequilibrio della bilancia dei pagamenti attraverso controlli sulla domanda interna e sui consumi. In questa direzione si mosse la commissione Beveridge con il progetto di creare un sistema di assicurazioni sociali e un servizio collettivo di assistenza sanitaria che segnarono la nascita del Welfare State. Molto importanti furono la nazionalizzazione di alcuni servizi di interesse pubblico (elettricità, gas, carbone e trasporti) della banca di Inghilterra di vecchie industrie di acciaio e di carbone attuati dal governo Attle tra il 1945 e il 1951.

In Francia all’indomani della Liberazione si delineò un disegno di democrazia economica basato su

Precisi fondamenti teorici. Il programma della sinistra era improntato alla nazionalizzazione della

industria chiave. In seguito con il governo De Gaulle si giunse alla nazionalizzazione delle banche

principali, dei trasporti aerei, delle miniere di carbone e all’espropriazione di alcune società che avevano

collaborato con i tedeschi come la Renault.

Molte difficoltà incontrarono invece la "nazionalizzazione senza statizzazione". Importanti inoltre l’aggiornamento delle industrie di base, l’aumento della produttività e della manodopera e dovuti all’istituzione del Commissariat au Plan nel 1946 e il piano Monnait contro l’inflazione e per il rammodernamento dell’economia francese e il miglior impiego delle risorse.

Anche in altri paesi furono attuate varie riforme. In Svezia nelle principali aziende furono creati dei comitati di impresa, si costituirono un buon numero di aziende pubbliche e grazie all’intervento pubblico ma non della propietà statale si ammodernizzarono i settori delle comunicazioni e delle risorse minerarie. Nell’Olanda socialista, seguendo la scuola di Tinbergen, nel 1946 fu elaborato un piano di crescita dello sviluppo economico con la nascita di nuove industrie e la nazionalizzazione della banca centrale e un efficienza maggiore nei centri urbani. In Belgio si guardò maggiormente al piano di assistenza sociale mentre furono scarsi come in Austria i progetti del governo sull’economia.

 

 

LA POLITICA ECONOMICA ITALIANA.

In Italia come in Germania non riuscirono a stabilirsi dei collegamenti solidi fra programmazione e politica congiunturale. Nel nostro paese un ruolo decisivo dopo la liberazione lo ebbero le forze politiche.

I comunisti definivano (riportando le argomentazioni di Eugenji Varga) l’economia mista come una "macchina infernale" portata al fallimento. Questi andavano contro il processo monopolistico delle industrie che secondo loro, limitava la possibilità di accumulazione. Trasferivano la versione del monopolio anche alle forme di intervento e di controllo pubblico. Il convincimento che l’affermazione della grande impresa monopolistica avrebbe significato automaticamente la stagnazione del sistema produttivo, proveniva dalla loro considerazione che ci fossero stati pochi cambiamenti nella classe dirigente rispetto alla fine del 1800 e dalla loro visione del periodo storico nel quale ignoravano il ruolo crescente dello stato nel processo produttivo, il rafforzamento della grande industria, la formazione di un nuovo ceto burocratico e l’ingrandimento della piccola borghesia.

Anche i socialisti secondo le idee staliniste avevano dei pregiudizi sullo sviluppo capitalistico, ma almeno nel 1945 presentarono una politica di programmazione basata:

Nella DC Saraceno e Vanoni stabilirono un preciso ordine degli investimenti, ponevano come obiettivi a lungo termine il riscatto del Mezzogiorno e l’industrializzazione di aree depresse. Volevano attuare una politica di incentivi e di interventi differenziati.

Grazie alla pressione della CONFINDUSTRIA della scuola Einaudiana e della sinistra (incapace di proporre un modello alternativo anche perché era concentrata sui problemi quotidiani della ricostruzione) la politica neo liberista uscì vincente nel campo economico. Nel 1949 con l’estromissione della sinistra dal governo Di Vittorio convinse Togliati che la CGIL doveva lanciare un "piano di lavoro" di ispirazione Kenesyana basato su un vasto programma di opere pubbliche, sull’allargamento del mercato interno che avrebbe fatto accrescere l’occupazione.

Ma il lancio di tale piano avvenne troppo tardi. Fu importante per il sistema economico la lunga stasi che intercorse fra i governi De Gaspari. Qua si consumarono le residue speranze di imprimere un indirizzo diverso alla ricostruzione. La sinistra s’impegno a rinnovare le istituzioni, ma per quanto riguarda l’economia rimase sui vecchi pregiudizi, mentre i democratici non riuscirono a creare nuovi modelli.

Soltanto Cesare Mezzagora (divenuto nel 1947 ministro del commercio con l’estero) e successivamente Ugo La Malfa furono sensibili a una ricostruzione economica su basi moderne e competitive. Durante il governo De Gasperi ci fu un momento crociale anche nel campo sindacale con le lotte per le richieste salariali.

In un primo periodo l’opera di questi organismo si era concentrata sul riattivamento delle industrie. Una volta ripresa l’attività produttiva emerse delle sfasature (soprattutto nel settore metalmeccanico) della politica degli investimenti elaborata dai Consigli di Gestione. In queste condizioni nel 1947 prevalse una linea economica di tipo liberista che fecce cadere i programmi di industrializzazione del Mezzogiorno e il progressivo assorbimento della disoccupazione. Fu un successo se l’IRI impedì la vendita al migliore acquirente di varie aziende. Con la reintegrazione di meccanismi di integrazione le imprese acquistarono libertà sull’utilizzo della manodopera che comportò il congelamento delle proteste salariali. I Consigli di Gestione ripresero le loro funzioni consultive e le aziende private accrebbero la capacità di autofinanziamento e di investimento nell’esportazione.

Altri punti importanti furono:

Il definitivo accantonamento dell’operazione di "cambio della moneta"

Con l’estromissione dei partiti di sinistra dal governo nel Maggio del 1947 si attuarono dei drastici provvedimenti per regolare il mercato finanziario. Con Einaudi maturò la politica deflativa.

Al cambio di rotta contribuirono ragioni di carattere internazionale legate all’ammissione dell’Italia al Fondo Monetario (avvenuto nel Marzo 1947) e alla riapertura degli scambi con l’estero.

L’annuncio del1947 del piano Murshall che avrebbe garantito degli aiuti finanziari da parte degli americani e le misure ristrettive sull’attività creditizia e sulla liquidità bancaria arrestarono la spirale inflazionistica, fu cosi possibile all’Italia migliorare la bilancia dei pagamenti e disporre di una moneta stabile per inserirsi più agevolmente nel mercato internazionale.

LA RICOSTRUZIONE INDUSTRIALE IN UNA GRANDE CITTA’

IL CASO DI MILANO

Nel periodo fra le due guerre la grande industria milanese era stata una delle principali beneficiarie della politica economica fascista.

All’indomani della guerra due erano i problemi fondamentali che l’industria milanese doveva risolvere:

In generale rispetto agli anni centrali del periodo fascista si delinearono tre distinte tendenze:

Al di là delle favorevoli prospettive di ripresa nel breve periodo delle manifatture tessili si era rafforzata l’industria chimica e della gomma come nel caso della Pirelli che possedeva anche basi di rifornimento e di produzione nei paesi stranieri. In bilico fra ristagno ed espansione si trovavano la meccanica di precisione, l’industria delle macchine utensili e l’elettrostatica.

L‘Edison dopo il 1945 si oppose a qualsiasi iniziativa riformatrice e di programmazione economica. Questo porto i partiti di sinistra a pensare che l’Edison volesse paralizzare la riconversione delle industrie del NORD. In realtà l ’Edison aveva dei problemi dovuti ai progetti di nazionalizzazione dell’industria elettrica e alla diminuzione di produttività avvenuta nell’epoca fascista. Di fronte alla ripresa i dirigenti avevano pensato di rinforzare e ampliare le centrali e le reti.

Una parte determinante per la vittoria dell’Edison nella sua battaglia di difesa la ebbe l’incertezza del governo che non riuscì a concretizzare il passaggio del settore elettrico alla mano pubblica né a compiere una severa regolamentazione antimonopolistica.

Il secondo governo De Gasperi concentrò invece l’attenzione sulla disciplina dei prezzi.