Gli anni della guerra

L’organizzazione della macchina bellica

Fin dai primi mesi di guerra lo Stato si pose il problema dell’armamento dell’esercito, tanto che le spese relative alla fabbricazione dei materiali di artiglieria furono di gran lunga superiori a quelle per l’equipaggiamento e l’alimentazione su un totale di 158 miliardi di lire. Il potenziale bellico italiano all’entrata in guerra (maggio 1915), non fu inferiore rispetto a quelli delle altre nazioni europee.

L’intervento nel conflitto fu appoggiato dalla piccola borghesia, e imposta alla maggioranza del Parlamento , favorevole alla neutralità, dalla monarchia, dai nazionalisti e dai conservatori (Salandra, Sonnino) , decisamente contrari i socialisti, i cattolici, le masse contadine e il proletariato operaio. La crisi si riscontrò anche sul piano economico a causa della dipendenza dell’Italia dalle importazioni di materie prime, della mancanza di capitali e dei conflitti fra i gruppi legati agli ambienti finanziari esteri. Gli scambi principali avvenivano con l’Inghilterra che forniva circa il 90% del combustibile, anche se fino al 1913 le importazioni erano coperte per il 58% dalla Germania e per il 19% dall’Austria-Ungheria.

Durante il regime di neutralità (agosto 1914), le industrie italiane approfittarono del fabbisogno dei paesi in guerra per eliminare i prodotti accumulati durante la crisi economica del 1913. Il settore tessile pensò di poter speculare a lungo su questa situazione, mentre nel settore meccanico si temeva l’egemonia dell’industria pesante. Infatti furono i siderurgici, tra cui Dante Ferraris, Max Bondi e i Perrone, ad appoggiare l’intervento in guerra: l’Ilva per superare i problemi finanziari, il Gruppo Finanziario Piemontese di Ferraris per far parte dei trust europei degli armamenti, l’Ansaldo per liberarsi dalla stretta economica della Terni-Vickers e dal cartello siderurgico della Banca Commerciale.

La nostra entrata in guerra fu accompagnata da una serie di errori di previsione e di valutazione e l’apparato industriale fu colto in un momento di grosse difficoltà data la mancanza di materie prime e la sospensione dei prestiti bancari; malgrado il tentativo di potenziare gli stabilimenti, il materiale bellico era molto scarso. Solamente dopo un anno di guerra l’industria italiana riuscì a far fronte alle richieste d’armamento dopo la creazione di organi di governo, i Comitati regionali, che controllavano l’apparato industriale e decidevano quali stabilimenti dovessero considerarsi ausiliari, cioè necessari agli scopi di guerra, che aumentarono notevolmente durante il conflitto. A questi organi faceva capo un alto ufficiale e ne erano membri esponenti del mondo industriale e finanziario. All’interno degli stabilimenti ausiliari vigevano norme decretate da una apposita legislazione: personale sotto la sorveglianza dei soldati, divieto di sciopero, aumento dei tempi di lavoro, maestranze composte anche da bambini e donne.

Le fortune dell’industria pesante

Le imprese siderurgiche e meccaniche furono le vere protagoniste della guerra. Il successo della controffensiva sull’Isonzo (agosto 1916), e la liberazione di Gorizia furono, infatti, in gran parte dovuti all’ingente numero di mezzi d’artiglieria fabbricati, come del resto tutte le successive operazioni dipesero sempre più dalla disponibilità di armamenti. A partire dal 1916 le industrie iniziarono a incrementare il numero delle officine, a incorporare aziende ausiliarie e a produrre in serie . Nel giro di due anni le spese relative alle armi salirono al 40% delle spese totali mentre quelle per l’equipaggiamento scesero del 20%.L’industria tessile profittò degli stanziamenti erogati dallo Stato per il vestiario ma non sarebbe riuscita a superare l’egemonia dell’industria pesante.

La più importante compagnia siderurgica italiana, l’Ilva, produsse in questo periodo 850.000 tonnellate di ghisa e 1.300.000 tonnellate d’acciaio e beneficiò delle anticipazioni dello Stato sulle ordinazioni insieme ad altri importanti stabilimenti; inoltre furono creati nuovi reparti officine e altiforni. Entrò in concorrenza con l’Ilva un'altra compagnia siderurgica, l’Ansaldo, che si potenziò nelle costruzioni meccaniche e nei mezzi navali. L’obiettivo dei Perrone era quello di primeggiare nell’industria italiana degli armamenti dato che erano riusciti a liberarsi del predominio della Krupp e ad allontanarsi dal gruppo francese Schneider, inoltre acquistò fabbriche di motori e aerei. L’Ansaldo creò un piano riguardante un complesso di lavorazioni retto da moderni quadri tecnici per preparare le basi per possibili concorrenze con i cartelli internazionali, servendosi degli articoli polemici dei suoi giornali e di una squadra di esperti industriali. Oltre alla collaborazione con industrie idroelettriche, chimiche, col sostegno della Banca Italiana di Sconto, l’Ansaldo creò un sistema industriale in tre settori: siderurgico, meccanico e marittimo.

L’industria meccanica in generale si avvalse delle ordinazioni di guerra e riuscirono a emergere anche la Breda e la Fiat ; la società di Milano si occupò principalmente di macchinario pesante e armamenti, e la Fiat si specializzò sempre più nella fabbricazione di motori di ogni tipo, dall’aviazione alla marina. Gli autocarri della società torinese venivano richiesti non solo dall’Italia ma anche dal governo francese e russo, data la disponibilità grazie alla produzione in serie. La Fiat alleata al Credito Italiano e alla Banca Commerciale, nel 1917 incorporò tre società metallurgiche e collaborò con diverse imprese, in più Agnelli cercò di incrementare la produzione automobilistica per non farsi superare dalla corsa dell’Ansaldo.

Si assistette alla affermazione del nuovo settore dell’aeronautica, i cui prodotti iniziarono a essere fabbricati con l’entrata in guerra: Caproni, massimo progettista e produttore, con la sua impresa, riuscì a creare un consorzio con la Fiat e l’Ansaldo. La nuova industria crebbe velocemente ma in modo sproporzionato rispetto alle possibilità finanziarie ed emerse una certa disorganizzazione del lavoro. Fortunatamente la produzione aeronautica aumentò in tre anni da 300 a 6.500 velivoli e da 600 a 14.280 motori, con un alto impiego di manodopera.

Altro settore dell’industria meccanica italiana, che si sviluppò in questo periodo, fu quello dei cantieri navali: si crearono nuove società di navigazione e le imprese armatoriali, tra cui la Navigazione Generale, si interessarono della costruzione di scafi e bastimenti. Con la scomparsa dal mercato italiano della presenza tedesca progredirono anche altri rami industriali come quelli della meccanica fine, dell’elettromeccanica e degli strumenti di precisione. La situazione bellica fu egualmente vantaggiosa per l’industria elettrica, tessile e chimica date le concessioni legali verso i grandi complessi finanziari. In particolare tra il 1916-1917 aumentò la domanda di energia elettrica sostituto del carbon fossile, che alla fine della guerra fu utilizzata quasi esclusivamente ad usi industriali. L’Edison fece fronte alle ingenti richieste di produzione, riuscendo a utilizzare nel modo migliore le attrezzature già esistenti alleandosi con altre società in modo da non imbattersi nella crisi di sovrapproduzione postbellica.

Le industrie cotoniere aumentarono la produzione di filati, ma fu soprattutto l’industria chimica a crescere notevolmente con la fabbricazione di esplosivi, di coloranti organici sintetici, di derivati del gas. Anche l’industria della gomma si affermò all’interno del mercato bellico; da ricordare in particolare la Pirelli, appoggiata dal Credito Italiano specializzata nella produzione di cavi e pneumatici.

Il ruolo dello Stato

Durante il conflitto lo Stato si fece sempre più partecipe dell’attività industriale, intervenendo attivamente nella vita economica del paese come fornitore e cliente delle imprese. Per attuare una rigida politica di autosufficienza occorreva nominare funzionari, creare comitati, istituire uffici, formare commissioni. La trasformazione dello Stato portò all’apparizione di un nuovo personale dirigente più autoritario formato non solo da parlamentari e uomini della burocrazia ministeriale ma anche da personaggi provenienti dal mondo della finanza o della casta militare. Ne è un esempio il sottosegretariato per gli armamenti che venne trasformato in un ministero e il suo titolare, il generale Dallolio, riuscì a prendere il controllo dell’andamento economico della guerra. I funzionari del ministro si occupavano del commercio estero, del fabbisogno dell’esercito e della popolazione, dei trasporti , delle commesse militari. Soprattutto con l’intervento in guerra il governo accentrò nelle sue mani il potere anche con metodi autoritari a carattere dittatoriale. Il rapporto Stato-industria venne favorito dall’interventismo pubblico, l’amministrazione militare e civile venne autorizzata legalmente a porre eccezioni alle leggi sulla contabilità statale e sul controllo della Corte dei Conti. Le ordinazioni di merce erano regolate da un organizzazione composta sia da funzionari pubblici che da imprenditori privati, come Ferraris, il senatore Salmoiraghi, Pio Perrone. Data l’urgenza delle richieste molti stabilimenti riuscirono a lucrare sui profitti, nonostante i severi controlli e le imposizioni fiscali; venne persino nominata una Commissione d’inchiesta parlamentare con lo scopo di indagare sulle spese di guerra. Le industrie furono avvantaggiate dalle anticipazioni statali dei pagamenti delle commesse e dai contributi dello Stato con esenzioni e finanziamenti per la costruzione di nuovi impianti: tutto ciò si riscontrò, non a caso, nelle fabbriche legate alle costruzioni belliche e rappresentate dai propri imprenditori negli organi di governo. Accanto alla ascesa di grandi colossi industriali, aumentarono i rapporti fra banche e industrie anche con forti interessi personali.

Grazie ai profitti il consorzio Ilva risolse i pagamenti dei debiti con le banche e accrebbe le attività finanziarie, Max Bondi (proprietario della Piombino) allora, puntò per la direzione dell’azienda in concorrenza con la Siderurgia di Savona, l’Elba e le Ferriere Italiane. Nel 1918 queste società si fusero formando il complesso Ilva Altiforni e Acciaierie d’Italia controllato dal gruppo Bondi-Fera-Luzzato. Con questa fusione si sarebbe dovuti giungere alla costituzione di un complesso di più settori che dalla materia prima arrivasse al prodotto finito, ma l’Ilva fare i conti con i problemi finanziari relativi all’operato di Bondi e durante l’ultimo anno di guerra con l’aumento dei prezzi del carbone e con i controlli più rigidi da parte dello Stato. Così l’Ilva vide ridursi la produzione di ghisa e acciaio e dovette fronteggiare i conflitti con l’amministrazione pubblica.

L’Ansaldo, rivale del gruppo Bondi, iniziò a Acquistare miniere, ferriere, impianti idroelettrici e imprese meccaniche. Quindi anche i Perrone si imbatterono in difficoltà per i programmi espansionistici sproporzionati rispetto alle loro possibilità e per la politica più autoritaria del governo.Infatti la fine del conflitto colse l’Ansaldo del tutto impreparata alla riconversione degli impianti e alle prese con iniziative disorganizzate.

Comunque l’Italia aveva sviluppato un notevole impianto industriale durante la prima guerra mondiale: dopo il 1918 si trovò fra i primi otto produttori del mondo per acciaio, cemento, energia elettrica, automobili, acido solforico, fibre tessili artificiali. Ma tutto ciò comportò delle spese altissime che influirono gravemente sulla ricchezza nazionale e, di conseguenza, sul deficit della bilancia commerciale (rapporto tra esportazioni e importazioni).Anche le altre nazioni in guerra avevano subito forti perdite e furono i prestiti concessi dagli Stati Uniti a far si che gli stati potessero provvedere alle richieste della popolazione, dopo la forte ondata di imposte e il reclutamento di milioni di braccia indispensabili per l’agricoltura.

L’Italia, il paese più colpito dalla guerra, dovette affrontare anche il problema del dualismo tra Nord e Sud: Piemonte, Liguria e Lombardia, possedevano il numero più cospicuo di stabilimenti ausiliari e i lavoratori, comprese le donne, furono assunti in massa dal contado come manodopera dei grandi complessi industriali, l’operaio specializzato, di conseguenza, era molto richiesto e lo si faceva lavorare senza limiti d’orario.

La scalata delle banche e l’occupazione delle fabbriche

Con la fine delle commesse statali, sebbene il governo cercò di convertire l’economia di guerra in quella di pace, l’industria italiana si trovò comunque nel vortice dei problemi riguardanti l’eccessiva manodopera e la sproporzionata potenzialità degli impianti. La sempre più stretta fusione tra interessi industriali e interessi bancari, portò le grandi banche (la Banca Commerciale che aveva finanziato la Terni e l’Ilva, il Banco di Roma la Breda, il Credito Italiano la Fiat e la Banca di Sconto l’Ansaldo), a controllare l’intero apparato produttivo nazionale. Ma le industrie avevano, in alcuni casi, coinvolto le banche nei loro giri d’affari espansionistici, con il rischio che quest’ultime si trasformassero in succursali dei grandi trust industriali, come nel caso dell’Ansaldo che aveva acquistato le azioni della Banca di Sconto, e la Banca Commerciale che ormai temeva la clientela dell’Ilva, per i problemi causati dalle numerose operazioni di Bondi. Il rapporto tra banche e industria si aggravò all’indomani della guerra, perché lo Stato aveva smesso di anticipare il pagamento delle commesse militari e aveva rallentato quello delle forniture già effettuate, allora le industrie, bisognose di liquidi, iniziarono nuovamente la scalata alle banche.

Le rivalità fra i vari gruppi industriali per impossessarsi delle banche, testimoniavano la crisi del dopoguerra finanziario che non riuscivano a riadeguarsi ad un’economia di pace. Nel settore siderurgico soltanto la Terni riuscì a superare questo momento integrando alle attività preesistenti le produzioni chimiche e idroelettriche. L’Ilva invece si trovò spiazzata dal fallimento delle operazioni di Bondi e fu costretta a indebitarsi; simile fu la sorte dell’Ansaldo a causa dei suoi progetti espansionistici in particolare per la concorrenza con l’Ilva nell’acquisto o nel finanziamento di diversi quotidiani. Tutte le iniziative prese nocquero all’Ansaldo che denunciava perdite sempre più ingenti.

Nitti, presidente del Consiglio, salito al governo dopo la guerra, per tirare su le sorti delle casse dello Stato propose un’imposta sul capitale e una sovraimposta speciale sul patrimonio, ma fu convinto dalla Confindustria a decidere piuttosto su un prestito volontario a forte interesse. In realtà riucsì a tamponare le necessità per poco tempo. Il governo Nitti si trovò a cadere di lì a pochi giorni a causa dei diversi punti di vista sull’imposizione delle nuove tasse; tornato al potere Giolitti, si impostò un programma di restaurazione finanziaria. Ciò provocò diverse rivolte sindacali dei lavoratori che ormai partecipavano attivamente nei comitati di mobilitazione industriale: essi rivendicavano la riduzione delle ore di lavoro, l’aumento del salario in eguale misura per tutte le categorie e soprattutto parità di diritti rispetto al personale specializzato. Nel 1919 la Fiom, per prima, riuscì a ottenere la giornata lavorativa di otto ore. Finita la guerra, gran parte della manodopera eccedente, assunta durante il conflitto, venne rimandata nelle campagne e gli operai specializzati rimasti non tolleravano più il regime militare creatosi all'interno delle fabbriche. I movimenti di autogestione operaia sfuggivano sempre più al controllo dei sindacati, e dopo il fallimento dello "sciopero delle lancette" a Torino, le fabbriche vennero occupate in seguito alla propaganda dell’ "Ordine Nuovo"(movimento che teorizzava la formazione di Consigli operai in ogni stabilimento). Ma il movimento operaio fu sconfitto e non riuscì ad attuare il progetto di gestione diretta della produzione. A questo successo degli industriali se ne affiancò un altro relativo allo scontro sull’imposizione fiscale del governo.

La difficile riconversione post-bellica

La situazione dell’industria peggiorò a causa della concorrenza del mercato americano che provocò l’abbassamento dei prezzi, ne risentirono in particolar modo i maggiori complessi industriali esposti eccessivamente con le banche. L’Ilva subì un forte ribasso dei titoli in borsa e si trovava in sede di accertamento penale per compensi di alcune commesse belliche. I suoi creditori, allora, la Banca Commerciale e il Credito Italiano, decisero di sostituire Bondi e il vecchio consiglio d’amministrazione con funzionari del gruppo Odero-Terni., inoltre il capitale sociale venne ridotto da 300 a 15 milioni e si separò la gestione finanziaria dall’attività industriale. All’Ansaldo venne a mancare l’aiuto della Banca Italiana di Sconto, ridotta al lastrico a causa degli ingenti prestiti concessi alla società genovese. Il crollo della società è forse da addebitare alle erronee previsioni dei proprietari sulle condizioni post-belliche dei mercati mondiali e ai frettolosi piani di espansione. La crisi non interessò esclusivamente l’industria siderurgica ma anche l’industria meccanica dalla contrazione del mercato e dall’eccessiva riduzione dei prezzi. I buoni risultati raggiunti dal settore meccanico durante il conflitto vennero in seguito ridimensionati e si ritornò alla frammentarietà del lavoro. Il problema della riconversione comportò diversi ostacoli per la produzione di massa e le lavorazioni specializzate.

Accanto a questa insostenibile situazione, si collocava ancora il riformismo fiscale che aveva gravato sugli imprenditori. La concessione, nel 1918, della giornata lavorativa di otto ore, fu intesa dagli imprenditori come un rapido passaggio alla produzione in serie e dai sindacati come un miglioramento delle condizioni lavorative, sia dal punto di vista fisico che salariale. Ma dal 1921 furono rimesse in discussione queste conquiste sindacali: vennero ridotti i salari e reintrodotte le nove ore di lavoro con l’unico intento di intensificare la produzione.

Gli enormi costi del conflitto gravarono sulla piccola borghesia che, dopo averlo appoggiato, si ritrovarono senza denaro e, temendo di subire una degradazione di prestigio sociale, pensò che si dovesse scaricarne le conseguenze sulle classe operaia accusata di essersi avvantaggiata economicamente durante la guerra.

 

 

 

 

FERRANDU – RUDA

5^ C