Alienazione

 

 

1. Hegel.

Nel pensiero filosofico-sociale moderno la prima vera e propria teoria dell'alienazione è stata elaborata da Hegel: la categoria d'alienazione, infatti, è centrale sia nel sistema hegeliano complessivo in quanto categoria logico-metafisica, sia nella rappresentazione dialettica che Hegel ha dato della storia moderna.

Naturalmente, le parole Entäusserung (alienazione) ed Entfremdung (estraniazione) - che Hegel usa indifferentemente, a parte alcune piccole sfumature - sono state usate anche prima di lui. Come ha ricordato Lukács, esse sono infatti la traduzione tedesca della parola alienation, che si trova sia nell'economia politica inglese in riferimento alla vendita della merce, sia nelle teorie giusnaturalistiche in riferimento alla perdita della libertà originaria e al trasferimento di essa alla società politica sorta mediante il contratto sociale. Lukács ritiene che un uso filosofico di 'alienazione' sia già presente in Fichte e nel giovane Schelling: si tratta però, come Lukács riconosce, di esperimenti terminologici che non esercitano alcun influsso sul problemi fondamentali dei sistemi di quei pensatori [Lukács 1954, trad. it. pp. 745-46].

In realtà Fichte e Schelling sono così lontani dall'elaborare una vera e propria teoria filosofica dell'alienazione, che Hegel, nella prefazione alla Fenomenologia dello spirito, proprio su questo punto polemizza aspramente con loro; a Schelling in particolare Hegel rimprovera di concepire la vita dell'assoluto come "l'intatta uguaglianza e unità con sé, che non è mai seriamente impegnata nell'esser-altro e nell'estraniazione, e neppure nel superamento di questa estraniazione" [I807, trad. it. 1, P- 141-

La Fenomenologia dello spirito è l'opera di Hegel che contiene la più ampia, coerente e impegnativa teorizzazione del concetto di alienazione; essa eserciterà, come vedremo, un influsso fondamentale e sul pensiero di Marx e sulla riflessione filosofico-sociale del nostro secolo. è a quest'opera di Hegel, quindi, che bisogna fare riferimento per capire in tutte le sue articolazioni la problematico dell'alienazione sia nel pensiero filosofico sia nelle scienze sociali contemporanei. Come si è detto, l'alienazione è una categoria centrale della dialettica hegeliana: essa corrisponde infatti al momento della scissione, della particolarità e della determinatezza, del divenir-altro dello spirito. Il sacrificio dello spirito, dice Hegel, "è l'alienazione, in cui lo spirito presenta il suo farsi spirito nella forma del libero, accidentale accadere, intuendo fuori di lui il suo puro Sé come il tempo, e similmente il suo essere come spazio" [ibid., II, P- 3041. L'alienazione dello spirito nello spazio è la natura, nel tempo è la storia.

Se per Hegel l'alienazione o estraniazione è costituita dall'oggettività in quanto tale, naturale-materiale e storico-sociale, essa è però anche qualcosa di necessariamente transitorio e, in fondo, apparente, in quanto implicitamente destinata ad essere soppressa e superata dallo spirito. Infatti, se l'alienazione è "ciò che ha riferimento e determinatezza, l'esser-altro e l'esser-per-sé", tuttavia "in quella determinatezza o nel suo essere fuori di sé [lo spirito] resta in se stesso" [ibid., 1, p. 19]. Questo carattere ambiguo del concetto hegeliano di alienazione emerge molto bene nell'ultimo capitolo della Fenomenologia sul "sapere assoluto". L'alienazione, dice Hegel, ha un significato "non solo negativo, ma anche positivo ". Infatti nell'alienazione l'autocoscienza spirituale "pone sé come oggetto", ovvero "pone l'oggetto come se stessa". Ma 'n questo modo essa è "presso di sé nel suo esser-altro come tale", ed essa sa la "nullità dell'oggetto", perché l'oggetto storico-naturale, in questa sua autoalienazione, è soltanto una sua provvisoria figura. Ma allora "in quest'atto è contenuto [anche] l'altro momento onde essa ha anche tolto e ripreso in se medesima quell'alienazione e oggettività". In altri termini, l'autocoscienza si aliena sì nell'oggettività storico-naturale, ma, "in forza della inscindibile unità con se stessa", nel suo esser-altro è presso di sé, e quindi l'alienazione è già implicitamente soppressa e superata [ibid., II, PP. 287-88]. Se l'alienazione è quindi per Hegel qualcosa di assolutamente necessario, poiché lo spirito è essenzialmente scissione (l'Io, dice Hegel, non può irrigidirsi "nella forma dell'autocoscienza in contrasto alla forma della sostanzialità e dell'oggettività, quasi che abbia paura della sua alienazione"), essa è però anche uno stadio che viene necessariamente soppresso e superato, poiché, se l'Io ha un contenuto ch'esso distingue da sé, questo contenuto è spirituale, è un prodotto dell'Io, è quella medesima pura negatività che è l'Io [ibid., P. 3021.

La teoria dell'alienazione in Hegel ha quindi tre caratteristiche centrali che possiamo indicare schematicamente così: 1) l'alienazione è il momento della scissione e dell'oggettività in generale (storica ed empirica), poiché nella alienazione lo spirito diviene "oggetto", diviene "a sé un altro, ossia oggetto di se stesso "; 2) il superamento dell'alienazione è il superamento o la soppressione (Aufhebung) dell'oggettività in quanto estranea allo spirito (il "togliere questo esser altro"), onde l'assoluto riconquista l'unità con se stesso; 3) il superamento dell'alienazione è qualcosa che non può non essere, poiché in essa lo spirito è uscito da sé solo apparentemente, mentre in realtà è rimasto in se stesso (tutta la realtà, infatti, è idea o spirito), e quindi lo spirito non può non ricostituire - divenendo consapevole, attraverso il " sapere assoluto ", che l'oggetto e un prodotto dell'autocoscienza - l'unità originaria con se stesso.

Questo è appunto l'impianto logico-metafisico della Fenomenologia dello spirito di Hegel. Il punto di partenza di quest'opera è dato da una tipica situazione di scissione: da un lato c'è la mera coscienza immediata, dall'altro l'oggettività così come essa si offre. In questo inizio la coscienza è, come dice Hegel, "sapere di cose oggettive in contrapposizione a se stessa, e di se stessa in contrapposizione a quelle " [ibid., p. 296]. Ma la coscienza non si ferma a questa rigida contrapposizione, e stabilisce un rapporto con l'oggettività "secondo la totalità delle sue determinazioni" [ibid., p. 288]. Si passa così dal sensibile, dal dato di fatto nella sua positività immediata ed empirica (che viene superato in questa sua immediatezza, poiché in quanto singolarità si mostra come non-vero, e la sua verità è piuttosto l'universale, cioè l'essere appreso e mediato dalla coscienza), a figure storiche e ideologiche, ecc. Al termine di questo cammino, quando l'oggettività è stata percorsa nella totalità delle sue determinazioni empiriche e storiche, essa si mostra come una totalità spirituale, ogni figura della quale è nient'altro che un'alienazione dello spirito a se stesso. La autocoscienza, dunque, attinge sì dalla sostanza la sua intera ricchezza, l'intera struttura delle sue essenzialità, ma questo comportamento negativo verso l'oggettività è "altrettanto positivo ", cioè è un " porre " [ìbid., pp. 287-88]. Tutte le determinazioni della sostanza non sono altro che "posizioni " o proiezioni dell'autocoscienza stessa, la quale si era alienata in esse, e ora si recupera dall'alienazione, perché in esse riconosce se stessa. L'autocoscienza ritrova quindi nell'oggetto la sua stessa struttura categoriale, e può quindi appropriarselo nella sua totalità. In questo modo, però, ritrovando e riconoscendo se stessa nell'oggettività, l'autocoscienza sopprime l'opposizione e l'alienazione.

Il complessivo impianto logico-metafisico della Fenomenologia mostra bene, quindi, che cosa Hegel intenda per alienazione: essa è data dall'oggettività materiale e storica; il superamento dell'alienazione ha luogo con il superamento di quell'oggettività in quanto estranea allo spirito; tale superamento, infine, non può non essere, perché l'oggettività è qualcosa di " dileguante ", è una totalità spirituale posta dall'autocoscienza (" l'alienazione dell'autocoscienza, proprio lei pone la cosalità "), e in quanto l'autocoscienza "sa questa nullità dell'oggetto " [ibid., p. 2871, l'alienazione è immediatamente soppressa e superata. Hegel dà la seguente caratterizzazione generale del processo: "Ma a noi lo spirito ha mostrato di non essere né soltanto il ritrarsi dell'autocoscienza nella sua pura interiorità, né il mero calarsi di essa nella sostanza e il nonessere della sua differenza; anzi ha mostrato di essere questo movimento del Sé il quale aliena se stesso e si cala nella sua sostanza, e come soggetto tanto è andato da essa in sé e l'ha resa oggetto e contenuto, quanto toglie questa differenza dell'oggettività e del contenuto" [ibid., p. 301].

Senonché, Hegel non si è limitato a questa generale elaborazione logico-metafisica della categoria di alienazione. Se avesse fatto soltanto ciò, probabilmente non avrebbe esercitato l'enorme influsso che ha esercitato su Marx e, attraverso Marx e il marxismo, sul pensiero filosofico-sociale del Novecento. In realtà Hegel, come abbiamo detto, si è servito del suo concetto di alienazione per dare una rappresentazione dialettica della storia moderna. In ciò è uno degli aspetti che fanno la novità e la forza della sua filosofia: una intera sezione della Fenomenologia dello spirito "(Lo spirito a sé estraniato; la cultura") ricostruisce i principali avvenimenti della civiltà europea, dalla caduta dell'impero romano alla rivoluzione francese, sotto il segno e mediante la categoria dell'alienazione. Dove però alienazione non è più da intendere precipuamente in senso logico-metafisico, bensí in senso storico-sociale, poiché la condizione di alienazione o di estraniazione (Entäusserung, Entfremdung) - ha un suo inizio storico - nell'epoca del tramonto della polis - ed una connotazione sociale precisa: il venir meno di quell'armonioso rapporto individuo-comunità, che era appunto la caratteristica fondamentale dell'eticità greca.

La polis costituiva un tutto armonico, coeso e Compatto, in cui gli individui non facevano valere le loro volontà e i loro interessi particolari, ma agivano e si sacrificavano per la cosa pubblica, per l'interesse generale e comune. "Nel suo sussistere, - dice Hegel, - il regno etico è un mondo non macchiato di scissione, alcuna" [ibid., p. 21]; qui "lo spirito è la forza dell'intiero, la quale riconduce insieme 'quelle parti nell'uno negativo, dà loro il sentimento della loro dipendenza e le mantiene nella consapevolezza di avere la loro vita soltanto nell'íntiero" [ibìd., p. 141; "l'intiero è un quieto equilibrio di tutte le parti, e ogni parte è uno spirito domestico che non cerca il suo soddisfacimento al di là di sé, ma lo ha in se stesso, perché esso stesso si trova in quell'equilibrio con l'intiero" [ibid., p. 20].

Radicalmente diversa, invece, è la situazione storica successiva, che Hegel chiama dello "spirito estraniatosi ". Qui l'intero è divenuto qualcosa di duplice, di separato, di scisso, perché l'autocoscienza non si riconosce più nel mondo sociale circostante - benché esso sia un suo prodotto - che le si contrappone come una dura realtà estranea. Qui lo spirito "ha il suo contenuto di contro a sé, come una realtà altrettanto dura; e il mondo ha qui la determinazione di essere un alcunché di esteriore, il negativo dell'autocoscienza "; e sebbene l'esistenza di questo mondo sia opera dell'autocoscienza, essa "è anche una realtà data immediatamente e a lei estranea", nella quale "l'autocoscienza non si riconosce" [ibid., P- 42]. Qui l'estraniazione dell'autocoscienza è un depauperamento di quest'ultima, anzi una vera e propria frattura fra l'autocoscienza e ciò che essa ha prodotto: ovvero, come Hegel dice, una Entwesung, una perdita dell'essenza da parte dell'autocoscienza.

Questa lacerazione o scissione si articola in varie opposizioni dialettiche, che è opportuno vedere nelle loro linee essenziali.

La prima opposizione è fra Stato e Ricchezza. Entrambe queste potenze spirituali esprimono la sostanza dell'autocoscienza, il suo contenuto e il suo fine: lo Stato costituisce infatti l'essenza degli individui, ed esprime la loro universalità; la Ricchezza, a sua volta, è il risultato, che incessantemente diviene, del lavoro e del fare di tutti, che promuove il godimento di tutti e si risolve in esso. Risuonano, nella caratterizzazione che Hegel dà della Ricchezza, precisi echi smithiani, che accentuano il significato moderno dell'opposizione Stato-Ricchezza. Di quest'ultima, infatti, Hegel dice che, producendola e godendola, ogni singolo ritiene di agire egoisticamente, ma che, in realtà, nel suo godimento ciascuno dà da godere a tutti, così come nel lavoro ciascuno lavora per tutti e tutti per lui.

In un primo tempo, quindi, l'autocoscienza si riconosce tanto nello Stato quanto nella Ricchezza. Ma l'autocoscienza non può fermarsi qui, e deve dare un giudizio dialettico su quelle due potenze o determinazioni, le quali appariranno cosí reciprocamente estraniate. E infatti la coscienza trova disuguale a sé, e quindi cattivo, lo Stato, poiché in esso trova "negato e soggiogato" l'operare come operare singolo; e trova uguale a sé, quindi buona, la Ricchezza, poiché è un universale che può essere goduto da tutti gli individui. Ma al tempo stesso autocoscienza trova buono lo Stato, poiché esso "ordina i singoli momenti dell'operare universale" ed esprime, organizza e rende attivi il fondamento e l'essenza dell'individuo; e trova cattiva la Ricchezza, che non ha universalità perché essa rende possibile soltanto "il godimento di sé come singolarità" [ibid., PP. 54-551. -

Si è cosi di fronte "a un duplice trovar eguale e a un duplice trovar diseguale": ora lo Stato è il cattivo e la Ricchezza è il buono, ora lo Stato è il buono e la Ricchezza il cattivo. Ciò realizza il passaggio alla Coscienza nobile e alla Coscienza ignobile. La prima è soddisfatta dell'ordine socio-politico esistente, e dunque è conservatrice; essa si riconosce nel potere pubblico, trova nello Stato la propria essenza e ubbidisce ad esso, così come si riconosce nella Ricchezza e "riconosce come benefattore colui che gliene ha procurato il godimento, ritenendosi obbligata a gratitudine". La Coscienza ignobile, al contrario, è insoddisfatta dell'ordine socio-politico esistente ed è sovvertitrice; essa vede nel potere statale una catena e un'oppressione, e "obbedisce con malizia sempre pronta alla ribellione ", cosí come non si riconosce nella Ricchezza, che ama ma che disprezza [ibid., pp. 56-57].

Non possiamo seguire qui nel dettagli la complessa dialettica che vede un movimento di alienazione reciproca fra la Coscienza nobile e il potere statale, e il dileguare di ogni differenza fra Coscienza nobile e Coscienza ignobile. Basti rilevare che anche in questa fase la Coscienza non può ritrovarsi nella Ricchezza perché questa è essenza alienata. Nella Ricchezza la coscienza "trova estraniato il suo Stesso come tale", e poiché la Ricchezza non è in suo potere e deve esserle concessa da un altro, la coscienza si trova a ricevere se stessa da tiri altro. La coscienza vede cosí "la sua personalità come tale dipendente dalla personalità accidentale di un altro, dal caso di un istante, di un arbitrio, o, comunque sia, della più indifferente circostanza" [ibid.].

Il sentimento della coscienza verso chi le concede la Ricchezza "è il sentimento sia di questa profonda abiezione, sia anche della più profonda rivolta", e poiché l'Io "si intuisce fuori di sé e disgregato in tale disgregatezza tutto ciò che ha continuità e universalità, che si chiama legge diritto, è parimenti sconnesso e andato a fondo" [ibid., p. 68]. Ma la Ricchezza non produce solo rivolta, bensí anche tracotanza: è la tracotanza di chi "crede di aver conquistato con un pezzo di pane un altrui Io stesso e che opina di aver con ciò ottenuto l'assoggettamento dell'essenza più intima di lui"; ma "in questa superbia la Ricchezza non tiene conto dell'intima indignazione dell'altro, non tiene conto del pieno rifiuto di tutte le catene, non tiene conto di quella pura disgregatezza alla quale... è disgregata ogni eguaglianza, ogni sussistenza, e la quale disgrega fino in fondo l'opinione e l'intendimento del benefattore" [ibid., p. 701. La Ricchezza, insomma, è la categoria centrale della condizione estraniata del mondo moderno, e coinvolge sia chi la riceve sia chi la dà, sia chi la possiede sia chi non la possiede.

Da questa situazione prodotta dalla Ricchezza nasce quello che Hegel chiama il "linguaggio della disgregatezza", che si esprime attraverso i paradossi, brillanti e cinici, del Neveu de Rameau di Diderot. Tale linguaggio inverte tutti i concetti e tutti i momenti l'uno nell'altro, e mostra che ciascuno è il contrario di se stesso: ciò che è buono è anche cattivo, i1 positivo è anche negativo e viceversa. Esso esprime la profonda crisi sociale e spirituale che culminerà nella grande rivoluzione: demolisce ogni certezza acquisita e tradizionale, e di ciascuna mostra l'instabilità e la falsità, e il rovesciarsi nel suo opposto. In questo modo però ogni contenuto è diventato un negativo, che non può più essere colto positivamente; l'oggetto è ormai soltanto "puro lo ".

Ciò dà luogo a un'altra opposizione: se infatti lo spirito è divenuto "puro lo" che "tutto riduce a concetto", e dunque è divenuto illuminiamo, ad esso si oppone la fede. L'illuminismo considera la fede come espressione dell'alienazione, e la fede considera l'illuminismo nello stesso modo. In realtà, secondo Hegel, illuminismo e fede, essendo i due lati nel quali si manifesta la scissione dello spirito, sono entrambi espressione dell'alienazione o estraniazione. L'interesse di Hegel è volto a mostrare che entrambi, essendo i due lati dell'unica e medesima coscienza, si convertono necessariamente l'uno nell'altro, che l'uno è la verità dell'altro. Ciò non toglie però che anche qui Hegel, servendosi della categoria dell'alienazione, colga delle determinazioni profonde: l'illuminismo, egli dice, considera la fede come una forma di coscienza estraniata " poiché esso dice di lei che ciò che le è l'essenza assoluta è un essere della sua propria coscienza, un suo proprio pensiero, un alcunché prodotto dalla coscienza " [ibid., p. 95]. E vero che Hegel rifiuta questo punto di vista, perché a suo avviso esso è astratto e unilaterale (in realtà, egli dice, l'essenza assoluta della fede non è qualcosa di astratto che stia al di là della coscienza credente, bensí si incarna nello spirito della comunità). Ma è evidente che anche qui egli ha avuto un'intuizione (la fede come alienazione in quanto scissione della coscienza) destinata a importantissimi sviluppi nel pensiero filosofico-sociale successivo (si pensi a Feuerbach e a Marx).

In generale, ciò che fa la forza e l'importanza di queste pagine della Fenomenologia sullo "spirito estraniatosi ", al di là degli arbitri e delle forzature di carattere speculativo che caratterizzano i vari passaggi della deduzione dialettica, è il fatto che tutta la storia moderna (che è appunto "spirito estraniatosi ") è rappresentata attraverso la categoria dell'alienazione, e le sue singole contraddizioni e scissioni sono parimenti evidenziate e descritte attraverso quella categoria. Il punto di partenza dell'"estraniazione", che costituisce poi il motore di tutto il processo storico-dialettico dello spirito estraniato, è la scissione fra individuo e comunità, fra individuo e genere: mentre nella polis individuo e comunità sono immediatamente conciliati e in equilibrio, poiché l'individuo non fa valere la propria volontà singola e i propri interessi particolari, bensí l'essenziale per lui è l'universalità sostanziale del diritto, gli affari dello Stato, l'interesse generale; nel mondo successivo al tramonto della 7Zó?,tg, invece, questo equilibrio fra individuo e comunità, fra individuo e genere va perduto, e subentra la scissione. L'individuo non si riconosce più nella comunità, il suo fine non è più l'interesse generale bensí l'interesse particolare: Hegel dice che la persona è divenuta un'"esistenza accidentale", " un muovere e operare privi di essenza", caratterizzati da "un sussistere molteplice e vario, il possesso [Besitz] ", che si chiama "proprietà [Eigentum] " [ibid., p. 38]. Ciò produce una lacerazione profonda fra particolare e universale: al punto che l'individuo non si riconosce più nel mondo sociale circostante - che pure è un suo prodotto che gli diventa una realtà estranea e nemica: qui la realtà, dice Hegel, "è anche immediatamente inversione [Verkehrung] ", "perdita dell'essenza" da parte dell'autocoscienza [ibid., p. 41]. Questa scissione fondamentale - che, naturalmente, è storicamente necessaria secondo Hegel, ma che parimenti deve essere superata - fra individuo e genere, fra particolare e universale, fra coscienza e mondo sociale, determina il ritmo dialettico di tutta la storia moderna, e si esprime e si articola di volta in volta in singole opposizioni o scissioni. Hegel può cosi disarticolare e ordinare tutta quella storia sulla base di alcuni temi e avvenimenti essenziali.- la nascita del mondo borghese, il problema del lavoro e della ricchezza, il rapporto fra Stato e Ricchezza e la contraddizione fra Coscienza nobile e Coscienza ignobile, l'opposizione fra illuminiamo e fede in quanto alienazione della coscienza.

È impossibile sottovalutare l'importanza di tutto ciò nella storia del pensiero filosofico-sociale moderno e non riconoscere che il grandioso impianto storico-dialettico di Hegel costituisce un punto di svolta decisivo, poiché per un verso riprende e sviluppa alcuni temi centrali della riflessione storica di Rousseau (l'organicismo della città antica, la coincidenza in essa di vita pubblica e di vita privata, di individuo e comunità, l'azione dissolvente su tutto ciò del commercio, del denaro, dell'accumularsi della ricchezza), e quindi individua il dramma del mondo moderno nella scissione fra individuo e genere, e per un altro verso articola tale scissione nella contraddizione fra Stato e Ricchezza, fra Coscienza nobile e Coscienza ignobile, fra illuminiamo e fede, ponendo cosi le premesse metodologiche e concettuali della riflessione di Feuerbach e di Marx.

Inoltre è importante rilevare che, come l'alienazione ha nella sezione della Fenomenologia sullo "spirito estraniatosi" una precisa origine storico-sociale col dissolversi dei legame individuo-comunità che caratterizza la polis, è dunque col fatto che l'individuo non si riconosce più nel mondo sociale che egli stesso ha prodotto, mondo che gli diventa perciò fina " realtà data immediatamente " e a lui "estranea", cosí il superamento dell'alienazione o estraniazione ha luogo anch'esso sul piano storico-sociale, con la rivoluzione francese. E la grande rivoluzione, infatti, che produce la "libertà assoluta" e la "volontà universale"; nella rivoluzione l'autocoscienza "abbraccia se stessa", "il mondo alla coscienza è senz'altro la sua volontà, e questa è volontà universale", e "ciò che mostrasi come operare dell'intiero, è l'immediato e cosciente operare di ciascuno" [ibid., pp. 125-26]. Qui Hegel ha presenti sia gli aspetti sociali, sia gli aspetti ideologici della rivoluzione: e cioè, per un verso, egli sottolinea il crollo di un intero sistema sociale (feudale), crollo che sopprime il carattere politico della società civile e restituisce il singolo alla totalità politica, e per un altro verso sottolinea l'ideologia democratico-rousseauiana con cui tale crollo è promosso, accompagnato e vissuto (l'individuo non è più un uomo privato, bensí un cittadino).

Ecco perché l'estraniazione è superata: perché è superata ormai ogni contrapposizione fra l'individuo, la coscienza singola, e il mondo socio-politico circostante, perché la coscienza singola "è altrettanto immediatamente consapevole di se stessa come di volontà universale; essa è consapevole che il suo oggetto è legge da lei data e opera da lei compiuta; e passando all'attività e creando oggettività non fa dunque niente di singolo, ma solo leggi e azioni di Stato" [ibid., pp. 127-28]. La coscienza, dunque, non separa più qualcosa da sé che le diventi estraneo e nel quale essa non si riconosca, bensí produce ora il suo mondo (socio-politico), e si riconosce in esso perché è opera sua. È così superata la sfera dello "spirito estraniato". Naturalmente Hegel è consapevole che tutto questo è vero solo in parte, e in parte è illusione dell'ideologia democratico-rousseauiana dei rivoluzionari (la libertà universale della rivoluzione finirà col produrre " nessun'opera né operazione positiva; ad essa resta soltanto l'operare negativo; essa è solo la furia del dileguare" [ibid., p. 129]); ma quello che qui va sottolineato è che l'alienazione o estraniazione, sorta nella Fenomenologia nel corso della storia come una precisa figura socio-politica, viene superata con un'altrettanto precisa figura socio-politica.

Hegel, dunque, ha elaborato una teoria dell'alienazione e come categoria logico-metafisica e come categoria centrale del mondo moderno, capace di coglierne e di evidenziarne lo sviluppo e le contraddizioni. È difficile, anzi impossibile sopravvalutare, per questo aspetto, l'influsso della Fenomenologia hegeliana su Marx e il marxismo. Infatti, nel Manoscritti economico-filosofici Marx - che definisce la Fenomenologia, in modo assai significativo, come "luogo d'origine della filosofia hegeliana" (trad. it. p. 164) - prende sí le distanze dal concetto hegeliano di alienazione come categoria logico-metafisica, ma riconosce tutto il suo debito verso Il concetto hegeliano di alienazione come categoria centrale del mondo moderno. "La Fenomenologia, - scrive infatti Marx, - è perciò la critica nascosta, non ancora chiara a se stessa, e mistificatrice; ma nella misura in cui essa tien ferma l'estraniazione dell'uomo - anche se l'uomo vi appare soltanto nella forma dello spirito -, tutti gli elementi della critica si trovano in essa nascosti e spesso già preparati ed elaborati in un modo che va assai al di là del punto di vista di Hegel. La 'coscienza infelice', la 'coscienza nobile', la lotta tra la coscienza nobile e quella ignobile, ecc., questi singoli capitoli contengono gli elementi critici' - se pure ancora in una forma estraniata - di interi settori, come la religione, lo Stato, la vita civile [bürgerlich], ecc." [ibid., p. 166]. Riconoscimento che significa, appunto, che nella sua rappresentazione dialettica del mondo moderno Hegel ha fatto un uso storico della categoria dell'estraniazione, e ha potuto cogliere così elementi essenziali della condizione estraniata dell'uomo (anche se questo è visto solo come spirito) nell'epoca del costituirsi delle condizioni che renderanno possibile la società borghese, e poi nell'epoca dei pieno dispiegarsi di quest'ultima. Se, quindi, come categoria logico-metafisica l'alienazione hegeliana deve, secondo Marx, essere criticata e respinta, come categoria storica può diventare invece uno strumento concettuale di prim'ordine per una critica dell'economia, della politica e dell'ideologia moderne, anche se, certo, essa dovrà essere liberata da ogni scoria speculativa e spiritualistica. E ciò avverrà, da parte di Marx, con il contributo e la mediazione decisivi di Feuerbach.

Enciclopedia Einaudi, vol. 1°, pp. 309 sgg.